Le oscure origini della violenza
Dove nasce la violenza, che cosa ne favorisce il contagio? Come la si deve contrastare? Ascoltiamo le parole di due grandi donne: Rita Levi Montalcini, Liliana Segre.
C’è un razzismo non dichiarato nel nostro Paese, ma tollerato. Anche da chi se ne professa totalmente estraneo o addirittura avverso. Purtroppo ampiamente sottovalutato da chi avrebbe il dovere di condannarne le manifestazioni , che esplodono in violenza individuale o di gruppo.
C’è accanto a questo una rassegnazione alla violenza delle parole e degli atti, che fa pensare ad una inquietante accettazione del male, come fosse un ingrediente inevitabile della nostra società.
Società malata o incapace di accettare la dottrina dell’uguaglianza dei diritti umani?
Non parlo soltanto di una patologia dell’Italia, anche se ormai, da diversi decenni , questa patologia si mostra pericolosamente contagiosa anche in Italia.
Di fronte al video, mandato in onda ripetutamente, dell’omicidio commesso a mani nude e in pubblico a Civitanova Marche, dove venerdì 30 luglio è stato aggredito e ucciso l’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu, lo sdegno, l’orrore, la pietà gridati dai social di fronte alla scena assumono un che di stonato, sgraziato, sghembo.
Perché, tanta violenza? Perché l’immobilità degli astanti, incapaci di reagire come fossero stati sotto l’effetto di un diabolico filtro magico ? Eppure in tanti hanno registrato con gli onnipresenti cellulari le grida di aiuto e la lotta impari e scomposta fra il povero questuante di colore, disabile e costretto a camminare aiutandosi con una stampella e il suo micidiale aggressore.
L’accusa lanciata in questi anni a chi ha “sdoganato” il disprezzo per i diversi, i neri, i vecchi, i poveri, i deboli e i paria della società viene respinta, da chi se ne sente colpito, con toni offesi.
Eppure la violenza agisce sempre da lievito negli ambienti in cui diventa lo stile dominante delle relazioni umane, soprattutto in chi non ha la capacità di opporsi alle parole di chi lancia slogan dispregiativi, di chi grida più forte per avere ragione, e soprattutto in coloro, e ce ne sono tanti in ogni epoca, che per compiacere il capo o per tornaconto personale non si fanno scrupolo di diventare il braccio armato dell’intolleranza.
In Elogio dell’imperfezione, un bel libro autobiografico di Rita Levi Montalcini, pubblicato nel 1987 la scienziata italiana, che ha avuto premio Nobel della Medicina, per gli studi sul funzionamento e sulla struttura del cervello, dedica un capitoletto finale a Primo Levi, scrittore, chimico, partigiano, ebreo torinese, sopravvissuto all’Olocausto. L’autrice commentando una frase in cui Primo Levi dice di diffidare di chi si atteggia a profeta, vate, veggente e prega i suoi lettori di non cercare nelle sue parole messaggi di nessun genere, .riconosce allo scrittore, sopravvissuto alla barbarie di Auschwitz, la lucidità di una testimonianza unica: quella di avere mostrato, come mai nessuno prima di lui, “con quanta facilità il bene possa cedere al male.” L’autrice evoca la figura del comandante di Auschwitz , definìto da Primo Levi come uno dei massimi criminali mai esistito, e scrive: “La sua colpa non era scritta nel suo patrimonio genetico, né nel suo essere tedesco. Era invece tutta nel suo non aver saputo resistere alla pressione che un ambiente violento aveva esercitato su di lui, già prima della salita di Hitler al potere”
La scienziata, autrice di scoperte rivoluzionarie sul rapporto fra meccanismi cerebrali, comportamento umano e scelte etiche quotidiane , ci dà una chiave di lettura della violenza gratuita su gente indifesa e inerme, legandola alle influenze che un ambiente impregnato di violenza può avere su individui, in cui le facoltà emotive abbiano la prevalenza su quelle razionali.
Una disarmonia cerebrale, la chiama la scienziata, che in alcuni casi l’educazione e la cultura potrebbero forse modificare. Ecco l’importanza dell’educazione, il valore di educare le nostre emozioni e di nutrire il nostro pensiero con l’arte e la scienza, con la riflessione sulle vicende umane, sulla conquista dei diritti, sulle storture e sugli eroismi della storia e della società.
Lungi dal definire il “male”, che oggi vediamo nelle azioni di criminali violenti, come sintomo esclusivo di un disturbo clinico, la scienziata, coerente con la teoria della estrema plasticità del cervello, ci fa pensare a mezzi di prevenzione pilotati da chi ha la responsabilità di prevenire le cause sociali del crimine, Una convinzione che Liliana Segre condivide parlando dell’educazione come mezzo per sconfiggere l’indifferenza al male
Alla nostra società oggi questo serve! Non solo lo sdegno comprensibile e necessario del momento, nè solo l’umana pietà per le vittime innocenti. Non solo una potente, duratura , costante reazione collettiva di sdegno morale che censuri ed emargini i criminali, unita alla volontà della Giustizia di condannare senza incertezze gli autori di soprusi e sopraffazioni, ma una grande opera di risanamento educativo attraverso scuola e cultura, che abbia nelle giovani generazioni i suoi primi destinatari.
Dalia Bighinati